outsourcingdi Angela Pontorno*

I nuovi modelli organizzativi portati dalla destrutturazione del ruolo di gestione HR devono solo apparentemente dividersi, tra le grandi realtà industriali, anche multinazionali, ed il tessuto connettivo dell’impresa del nostro Belpaese, ovvero la piccola e media impresa. Per le PMI? Quali bisogni, quali vincoli, quali costi? Qual è la posta in gioco? Non v’è dubbio che anche per le piccole e medie imprese sia necessaria e funzionale al business la ricerca dei talenti, ma ancora la strada è lunga; non perché non abbiamo la leadership nel DNA, ma perché le aziende sono state prevalentemente create e governate da imprenditori che premiavano la fedeltà e l’affidabilità, passandosi il testimone nelle generazioni successive, di padre in figlio e di figlio in nipote. In queste aziende private il ruolo delle risorse umane è stato prevalentemente confinato ad una funzione di vecchia “direzione del personale” vestendo l’abito amministrativo. Eventuali interventi di crescita e sviluppo della gestione delle risorse umane, sono demandati a società di consulenza, che lavorano su progetti specifici, producendo sicuramente risultati encomiabili, ad esempio sul fronte della formazione, o dei sistemi premianti.

Ma le PMI italiane vivono lo stesso contesto, le stesse pressioni, le stesse fluttuazioni ed oscillazioni di mercato delle sorelle più grandi, devono anch’esse garantire una “business continuity” con una “difesa immunitaria” da rinforzare. Non apparirebbe d’altronde realizzabile tout court l’implementazione del modello organizzativo che si sono date le organizzazioni più complesse, nazionali o multinazionali che siano: minore è il carico di attività  e non si giustificherebbe un investimento economico. L’outsourcing è già consolidato per le attività di carattere amministrativo, quali paghe e stipendi, recruiting e formazione. Ma manca ancora qualcosa. E allora le strade si rincontrano, e mutuando un termine proprio del welfare sociale, possiamo introdurre il concetto di rete circolare; la necessità di stringere legami e soprattutto di fondarsi su una “people management continuity”.

Spesso illustro il concetto di visione d’insieme, dicendo che il rischio reale è quello della frammentazione della stessa, di quell’approccio olistico; di chi osserva tutti i particolari quotidiani e riesce a cogliere nelle pieghe dei comportamenti e delle scelte, un filo di Arianna, una coerenza sostanziale, un’unica tensione per “servire ” strategicamente l’organizzazione.

Azzarderei ora, non per bluff, la nuova frontiera dei centri di eccellenza anche per le reti delle PMI. Una semplice valutazione costo/beneficio, e parliamo di costi sicuramente inferiori rispetto a quelli di investire su risorse interne, può lanciare la PMI verso un’analoga frontiera di outsourcing integrato per la gestione delle risorse umane. Un soggetto competente, professionale e qualificato esterno che percorra insieme al management tutte le fasi della gestione delle risorse umane, lavorando sulle managerial competencies. Non una mera assistenza o manutenzione “a rottura”, per usare un termine caro agli ingegneri della manutenzione, ma un approccio preventivo, anzi “predittivo”, che sostenga, come in una moderna costruzione a moduli, l’affronto del contesto.

Qui voglio fissare l’idea propria di un sostegno continuato ed attento, riassumibile nel gioco di sillabazione di CON/TE/STO.

D’altra parte proprio perché forte delle competenze gestionali quali comunicazione, gestione dei conflitti, negoziazione, valutazioni quali/quantitative, valutazioni a 360°, mappatura dei talenti, dei piani di crescita e successione, con piani formativi funzionali ad una strategia, che parta dal reale cogente e non solo da investimenti cosiddetti “a pioggia”. Un partner esterno, che osserva tutti i fattori in gioco, che ha nella sua bisaccia gli strumenti da poter offrire per integrare tutte le potenzialità e le diversità già presenti nell’organizzazione, per finalizzarle funzionalmente al business. Il ruolo di facilitatore, di mediatore e di valorizzatore di tutte le persone, delle specificità e delle diversità di ciascuno rappresentano una grande ricchezza. Il ruolo di coach a supporto dello sviluppo strategico.

Questo approccio risulta allora conveniente, interessante da percorrere, un investimento utile, perché ha come vantaggio proprio, la possibilità di creare economie di scala nuove, tra più soggetti. Le dinamiche infatti, sono replicabili nei flussi, indipendentemente dalla specificità della singola organizzazione.

L’outsourcing va imposto o abbracciato?

Quest’evoluzione va preparata, va comunicata, ma innanzitutto deve essere riconosciuta come esigenza dal management e dalla proprietà.

La “coltivazione” di quelle soft skills che sono proprie dei leader dell’organizzazione, e di tutta l’orchestra, possono ora essere mappate, costruite, integrate secondo programmi standardizzati ma customizzati, che rispondano almeno a 3 requisiti di fondo:

Che questa volontà di trasformazione sia condivisa, e non a proclami, ovvero che si passi da un approccio paternalistico e doveristico di pochi che comandano, ad un nuovo sentimento di reciprocità e reciprocazione. D’altra parte in qualsiasi circostanza ci possiamo trovare, singolarmente o dentro un’organizzazione cosa esigiamo dal reale? Cerchiamo un luogo che ci corrisponda. Per tutti ci sono guadagni tangibili ed intangibili. Tutti devono volersi scommettere in quest’evoluzione. Inoltre, finito il tempo delle contrapposizioni che hanno portato sempre più all’esaltazione egoistica del soggetto, occorre ritornare ad una modalità che non esoneri dalla partecipazione, dalla compartecipazione. Basta pretese, la logica dei diritti va accompagnata a quella dei doveri.

Questa strategia di outsourcing va veicolata come leva del cambiamento per l’organizzazione tutta, ma va compresa, abbracciata da tutti i soggetti ed implica un lavoro serio sul campo; questo modello genera le risorse, rigenera le persone. Prendendo a prestito, estrapolandoli, un paio di termini, assolutamente efficaci che ho sentito dire al prof. Zamagni, potrei dire che questa strategia come appena sopra descritta, conduce alla proposta di una gestione delle R.U di tipo “generativo”, dove si lavori sulle capabilities, tradotte dal prof. Zamagni in “capacitazione”, dunque si diano gli strumenti, si valorizzino i comportamenti per consentire alla persona di agire; so che c’è un potenziale dentro di te, con il mio aiuto io risveglio in te la tua CAPACITA’ in azione.

Tensione all’innovazione; non solo di “prodotto risorse umane” o di processi che impattano le risorse umane, ma:

  • analisi del bisogno, della domanda, quindi DIAGNOSI delle necessità del business per sviluppare competenze
  • definire le priorità d’intervento e condividerle
  • scegliere le esperienze più arricchenti, siano esse, training on the job, formazioni frontali o affiancamento a persone di maggiore esperienza
  • incoraggiare un follow up per trattenere il valore dell’esperienza fatta.

Conclusioni

Tirando le fila del nostro percorso, le parole chiave che ci hanno accompagnato sono lì a richiamarci ad una maggiore consapevolezza rispetto alle competenze gestionali, all’interno di un ambiente dinamico e “costantemente” mutevole.

La gestione attraverso “tempi incerti” impone competenze e approcci organizzativi strutturati. Inoltre, l’evoluzione del contesto implica una maggiore complessità e tale complessità non può essere affrontata con modalità tradizionali.

È fondamentale :

  • l’intelligenza di tutti (TEAM).
  • Relazione & collaborazione (COESIONE ALL’INTERNO DEL TEAM).
  • Competizione (PER POTER ESSERE SEMPRE ADEGUATI AL CONTESTO).

Approfondisci l’argomento: “Le PMI chiedono l’outsourcing della gestione risorse umane”

Per informazioni

* Angela Pontorno

Esperta e manager nella direzione di Sviluppo Risorse Umane dalla Zanussi Electrolux, fino alla Pfizer spa. Coniugata, con 3 figli, sostiene, strenuamente, da oltre 15 anni attività legate al mondo dell’educazione e della scuola, partecipando attivamente a progetti si sviluppo e fund raising in una fondazione scolastica nella città di Catania di cui è Vice Presidente e che conta oltre 450 studenti.