*di Marco Romano

Modern business concept

La progressiva diffusione della sharing economy genera modifiche strutturali negli scenari competitivi. Si riduce la produttività delle imprese della seconda rivoluzione industriale. Si affermano le piattaforme digitali della Terza Rivoluzione Industriale, sempre più accessibili nel mondo globale, per migliorare la qualità della vita, accrescere il benessere e potenziare la sostenibilità economica, sociale e ambientale. Tutto ciò è tanto desiderabile quanto fattibile con l’affermazione dei modelli di business basati sulla condivisione.

I modelli basati sull’economia di scambio rendono più accessibile l’avvio di iniziative imprenditoriali perché i nuovi percorsi di sviluppo attraverso il business planning sfruttano una nuova opportunità: produrre e consumare in regime di costi marginale prossimi allo zero. Ad esempio, il caso di Airbnb, piattaforma digitale “commons collaborativo” ha trasformato il modo di organizzare un viaggio a milioni di utenti, offrendo l’opportunità di condividere o ricercare un appartamento, una villa, una stanza ma anche il letto o il divano di casa, aggiungere un annuncio o acquisire un nuovo cliente, per alimentare lo scambio globale, in regime di costo marginale pari a zero[1].

In questo scenario economico internazionale in rapida evoluzione, il processo di business planning è sempre più un’attività impegnativa, è necessario diminuire notevolmente gli sprechi di tempo e di risorse finanziarie, ciò vale per le nuove iniziative imprenditoriali, Startup innovative, micro-imprese, progetti di sviluppo, lanci di nuovi prodotti. È ormai ineluttabile rivedere il processo di programmazione degli investimenti caratterizzato dalla sequenza di operazioni prefissate per costruire il piano industriale, formalizzare il documento, sottoporlo agli investitori, mettere assieme il team e, quindi, agire di conseguenza così da promuovere e vendere il più possibile (as is it).

Secondo l’approccio convenzionale, il processo di business planning è finalizzato alla redazione del business plan, “un documento statico che descrive le dimensioni di un’opportunità, il problema da risolvere e la soluzione che fornirà il nuovo prodotto o il nuovo servizio. Il business plan include tipicamente una previsione a cinque anni dei ricavi, dei profitti e del cash flow. Si tratta sostanzialmente di un esercizio numerico redatto solitariamente a tavolino, ancor prima che l’imprenditore abbia iniziato a costruire un prodotto. L’assunto è che sia possibile definire in anticipo la maggior parte delle incognite, prima di raccogliere i fondi e di mettere in pratica l’idea. Nel momento in cui ottiene dei fondi dagli investitori, l’imprenditore che ha un’idea commercialmente valida, comincia a sviluppare il prodotto in maniera altrettanto solitaria. I tecnici dedicano migliaia di ore-uomo a predisporlo per il lancio, praticamente senza alcun input da parte dei clienti. Solo dopo aver realizzato e lanciato il prodotto, l’azienda neo-costituita riceve un feedback rilevante dalla clientela quando la forza vendita tenta di collocarlo sul mercato. E troppo spesso, dopo mesi o addirittura anni di sviluppo, gli imprenditori scoprono sulla propria pelle che i clienti non apprezzano o non desiderano quasi tutte le caratteristiche del prodotto[2]” e ad un certo punto di questo lungo ed articolato processo sequenziale, verosimilmente, si sperimentavano ritardi, inerzie, stalli, cambi di direzione, logoranti conflitti e, quindi, battute d’arresto. Metodologicamente, i processi di Lean Business Planning risultano sovrapponibili, sia per le imprese che già operano con un modello di business, sia per le Startup che progettano il nuovo modello di business con una nuova vision di partenza da testare e rifinire progressivamente.

Lean Business Planning

L’opportunità di sviluppare le potenzialità del business planning per lo sviluppo di nuovi prodotti è altrettanto valida se tale approccio è applicato per l’avvio di nuovi progetti di sviluppo di imprese già esistenti che, di norma, seguono approcci tradizionali di redazione del piano industriale. In questa impostazione metodologica è da ricercare l’opportunità di adottare l’approccio “minimalista” proposto dal modello teorico “Lean Startup” (LSU), nell’alveo del filone di studi della “Lean Production”.

L’attività di business planning denominata “lean” antepone la sperimentazione alla pianificazione dettagliata, il feedback dei clienti all’intuito e la progettazione iterativa allo sviluppo tradizionale, finalizzato a “partire in grande” (Blank , op. cit.). Il metodo lean proposto per lo Startup si fonda su tre principi chiave di seguito descritti:

  • Partire da una serie di ipotesi formulate analiticamente che articolano la business idea. Rappresentare tale ipotesi, attraverso i nove blocchi del “Business Model Canvas”, piuttosto che scrivere un articolato piano strategico.
  • Andare sul campo per chiedere, ascoltare e ricevere feedback sia dai potenziali utilizzatori, acquirenti (customer development), sia dai potenziali soci e finanziatori, per testare le ipotesi formulate e, quindi, verificare rapidamente l’articolazione del modello di business in termini di acquisizione dei clienti, caratteristiche dei prodotti offerti “al livello minimo accettabile”, distribuzione commerciale e politiche di pricing. In questa fase si pone grande enfasi su “agilità e rapidità” al fine di riformulare le ipotesi di partenza, riprogettare il ciclo produttivo, testare l’offerta adeguata ai feedback seguendo logiche iterative o, eventualmente, apportando modifiche più sostanziali (“pivoting, cioè, rotazione sui cardini”) alle ipotesi di base che non hanno riscosso l’apprezzamento nel mercato.
  • Sviluppare i prodotti in modo agile, “sviluppo rapido e reattivo”, in combinazione con il customer development per ridurre i tempi e le risorse impiegate puntando sull’iterazione e lo sviluppo incrementale dei prodotti realizzati nella prima fase “al livello minimo accettabile “, successivamente, sottoporre le soluzioni alla sperimentazione sul campo e, quindi, puntare sull’apprendimento continuo e sull’analisi dei dati raccolti.

Il processo di business planning svolge il ruolo di “catalizzatore”, trasforma l’iniziale vision imprenditoriale, in prime ipotesi di business idea e, quindi, nei prodotti lancio “al livello minimo accettabile”. L’incontro con i clienti che interagiscono con tali prodotti, generano feedback e dati, sia qualitativi (informazioni sull’esperienza, il gradimento, etc.) che quantitativi (come il numero di persone che lo usano, il prezzo di vendita, etc.). I prodotti inziali sono fondamentalmente “esperimenti” che innescano il processo di apprendimento attraverso il quale alimentare un business plannig sostenibile.

La verifica delle idee progettuali di partenza e l’acquisizione di dati e informazioni è il primo vero risultato dell’avvio “rapido” del processo di business planning. È la conoscenza che contribuisce ad influenzare e rimodellare l’articolazione successiva della business idea attraverso la reattiva riformulazione di una nuova serie di ipotesi di lavoro riprogettate da verificare iterativamente.  La sequenza delle tre fasi del processo iterativo sopra descritto può essere rappresentato nel diagramma sotto riportato.

Fig. 1 Le fasi del processo del Lean Business Planning

 

Il modello lean di business planning prevede lo sviluppo agile delle idee progettuali di partenza trasformate in ipotesi sul modello di business al fine di costruire i prodotti “al livello minimo accettabile” con l’esecuzione di cicli brevi e ripetuti.

L’immissione nel mercato di un prodotto che possiede le caratteristiche critiche consente di (a) sperimentare le ipotesi di lavoro formulate circa i bisogni dei clienti, (b) acquisire i feedback dal mercato, (c) ricominciare da capo modificando una o più ipotesi e (d) riproporre il “prodotto minimo accettabile” rivisto. Allo stesso tempo, durante il processo di business planning si continuano a testare anche altre ipotesi così da rilevare le preferenze dei clienti attraverso i feedback sul prodotto. Nell’ambito del processo di business planning è fondamentale la gestione dell’apprendimento organizzativo, alimentato dalle informazioni acquisite dai clienti i cui feedback mostrano la sostenibilità delle ipotesi iniziali, suggeriscono le potenziali revisioni per addivenire a nuove ipotesi. È importante essere consapevoli che fallire e riprovare non è un dramma. Al contrario durante il business planning, l’iterazione valorizza l’opera dei clienti e genera la conoscenza che consente di individuare l’approccio adeguato da seguire, sia per la ri-definizione della funzionalità del modello di business, sia per l’implementazione nell’organizzazione dei reparti funzionali che mettono in esecuzione il modello in fase di costruzione. Quando si raggiunge lo stato di sviluppo “minimo accettabile” del prodotto sufficiente da consentirne la vendita si avviano i cicli produttivo, economico, finanziario e monetario. “I fondatori delle LSU non partono da un business plan; partono dalla ricerca di un modello di business. Solo quando un’iterazione rapida di sperimentazione e feedback rivela un modello che funziona si concentrano pienamente sull’esecuzione” (Blank S., op. cit.). Le differenze tra l’approccio lean Startup e quello seguito da un’azienda tradizionale sono schematicamente riproposte nella figura 2 di seguito riportata.

Fig.2 Confronto approccio Lean e Tradizionale per il Business Planning

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[1] Rifkin J., La società a costo marginale zero, Mondadori, Milano, 2014.

[2] Blank S., “Perché la Lean Startup cambia tutto”, Harvard Business Review, IT, n.5, 2013, p. 14.

 

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foto romano*Marco Romano (Ph.D.) è professore associato di “Imprenditorialità e Business Planning” e di “Logistica e Distribuzione Commerciale” presso il Dipartimento Economia e Impresa dell’Università degli Studi di Catania. È stato Componente del Consiglio Direttivo dell’APSTI-Associazione dei Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani, Dirigente Generale del Dipartimento delle Attività Produttive, Direttore Generale del Servizio Urgenza Emergenza Sanitaria 118 Sicilia e Presidente del Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia. L’intensa attività scientifica-professionale ha interessato, tra gli altri, CNR, INFN, ICE, MEDSPIN, UNIONCAMERE Sicilia, CIRM, MAAS, EST, ISMET, SIBEG, ZAPPALÀ, EST. È stato Visiting Scholar presso Whitaker Institute for Business, University of Ireland e Visiting Lecturer del Warrington College of Business, University of Florida (USA). È autore di numerose pubblicazioni e relatore in convegni nazionali e internazionali in tema di entrepreneurship, entrepreneurial principal investigators, local innovation systems, strategic management, technology transfer, channel management, family business, no-profit organizations.