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La crisi economica ha riportato alla ribalta l’importanza della collaborazione soprattutto delle piccole e medie imprese. La rete è quindi la scommessa per il futuro, un modello sul quale il sistema delle parti sociali e delle governance territoriali hanno deciso di puntare da tempo, valorizzando e promuovendo lo strumento della collaborazione, quale leva per il rilancio e la reazione alla crisi congiunturale dei mercati.

Fare rete, e cioè condividere progetti, attività, servizi, competenze, è una scelta strategica che consente alle imprese, nel rispetto dell’autonomia aziendale, di consolidare e accrescere le posizioni di mercato, ridurre i costi legati all’attività, fornire servizi e prodotti completi all’interno di una stessa filiera.

Ma esiste una reale consapevolezza sui vantaggi, in particolare per le PMI, correlati al “perché fare rete”? Quali sono i soggetti che l’hanno sperimentato concretamente? E quali le esperienze fino ad oggi condotte in Italia, e in particolare in Sicilia?

Alcune risposte a questi quesiti Sdi, Soluzioni d’Impresa è riuscita a trovarle in sede di progettazione di un piano formativo incentrato sul tema dello sviluppo delle reti tra imprese in Sicilia. Nell’ambito del confronto con i referenti scientifici del progetto, Giovanni Perrone docente di “Strategie e Tecnologie di imprese a Rete” alla facoltà di Ingegneria di Palermo e Nunzio Claudio Saita, sociologo e consulente esperto in Management di impresa e di nuovi modelli di Governance territoriali per lo sviluppo del Mezzogiorno e Monica Mandalà, esperta in modelli formativi) sono emerse alcune utili considerazioni così riassumibili:

– Il sistema industriale italiano è caratterizzato per la maggior parte da PMI, circa il 95%. Non stupisce, quindi, che le forme di aggregazione a rete più diffuse nel sistema industriale italiano siano quelle relative a modelli propri delle PMI: distretti e trademark collettivi.

– In Italia sono presenti 101 distretti (rif. Osservatorio distretti italiani) la cui concentrazione è soprattutto localizzata al centro-nord del paese.

Cosa sono i distretti? Tutti i numeri e strategie di rilancio

I distretti sono “sistemi territoriali caratterizzati da una elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente, e da una accentuata specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese stesse”.

Nei 101 distretti dell’Osservatorio, risultano registrate 283 mila aziende ben il 28,5% del totale manifatturiero. Le imprese attive nei distretti impiegano oltre 1,4 milioni di addetti (fonte Istat), che rappresentano il 29,4% del totale dell’occupazione manifatturiera.

Nei distretti il 30% delle imprese è costituita sotto forma di società̀ di capitali contro il 22% della media nazionale. Infine, le microimprese (1-9 addetti) rappresentano nei distretti l’86% a fronte di 95% di dato nazionale. Le imprese, invece, da 10 a 249 addetti sono pari al 13,6% (5% la media nazionale).

Negli ultimi 4 anni la competitività dei distretti italiani si è fortemente ridimensionata. Infatti, la globalizzazione sta progressivamente incidendo sul deterioramento del vantaggio competitivo legato alla territorialità. Per far fronte a questo fenomeno, le imprese distrettuali stanno reagendo secondo tre linee strategiche, già evidenziate dall’Osservatorio dei Distretti Italiani, nel rapporto 2012:

• ampliamento ed internazionalizzazione delle reti di fornitura (dai distretti ai dis-larghi) che comporta il ricorso a nuove forme di rapporti di rete che vanno al di là dei classici rapporti di subfornitura come outsourcing, offshoring, joint ventures, etc….

• creazione di reti di innovazione secondo il modello dell’Open Innovation.

• creazione di reti di globalizzazione per il potenziamento dell’export extra UE. Anche questo tipo di strategie prevede il ricorso a nuove tipologie di rapporti di rete.

I trademark collettivi

L’altro modello di rete, caratterizzante soprattutto il settore agroalimentare italiano, è quello dei trademark collettivi basati sulla creazione di consorzi. Il modello di business, in questo caso, prevede il trasferimento al consorzio di alcuni aspetti competitivi soprattutto legati allo sviluppo del brand e alla sua tutela. Le imprese consorziate continuano a competere tra di loro invece sulle produzioni.

Il modello dei trademark collettivi tiene molto bene alla prova della globalizzazione, essenzialmente per due motivi: la tutela del brand è legata alla territorialità (modelli DOC, DOP e IGT) e pertanto il brand non è esposto a concorrenza globale; il settore agroalimentare italiano ha una reputazione consolidata all’estero. Il modello del trademark collettivo si sta quindi estendendo, facendo leva sull’asset reputazionale, anche alla distribuzione ed alla ristorazione (si pensi ai recenti successi della formula Eat Italy).

rete3Facendo un focus sulla Sicilia, regione su cui si è incentrato lo studio di Sdi, emerge che è stata da sempre caratterizzata da una scarsa capacità di collaborazione tra le imprese che si basa fondamentalmente sulla mancanza di fiducia reciproca nelle collaborazioni imprenditoriali (asset relazionale), conseguenza tra l’altro di un diffuso processo di individualizzazione tipico della cultura siciliana e meridionale.

I modelli distrettuali, tranne in alcuni sporadici casi (ad esempio il distretto produttivo dei marmi), non si sono storicamente sviluppati in Sicilia. La Regione siciliana, riconoscendo nella mancanza dei distretti un gap essenziale per lo sviluppo imprenditoriale della Sicilia, ha favorito la nascita di aggregazioni distrettuali dall’alto (cioè incentivate per decreto e per successiva incentivazione economica attraverso le risorse del POR Sicilia). Sono nati quindi alcuni distretti produttivi quali il distretto produttivo della Pesca industriale del Mediterraneo, distretto della Meccanica Siciliana, il distretto produttivo Sicilia orientale Filiera del Tessile, il distretto della Meccatronica di Palermo e il costituendo distretto della Manifattura avanzata.

Ciò avviene in un periodo in cui la globalizzazione ha messo in crisi il vantaggio competitivo basato sulla localizzazione dei distretti, e in un contesto in cui l’asset relazionale dei distretti siciliani (il vero asset competitivo dei distretti) è praticamente inesistente. Quindi anche a livello regionale, la politica di aggregazione delle imprese deve essere ripensata ponendo al centro lo sviluppo dell’asset relazionale e favorendo le dinamiche già in atto nei distretti italiani più competitivi e precedentemente delineate.

Il Contratto di Rete si caratterizza come forma di aggregazione ideale per la sua maggiore flessibilità. Grazie ad esso le reti d’impresa superano, senza annullarla del tutto, la dimensione della territorialità e della localizzazione, pilastri dell’organizzazione distrettuale. Le fonti di informazione, nello specifico Infocamere e Report 2012,  parlano di 22 esperienze siciliane di Contratti di Rete stipulati: Catania è la provincia più dinamica sotto questo punto di vista con 8 casi, seguita poi dalla provincia di Palermo con i suoi 6 contratti.

I dati sopra riportati chiamano in causa il fattore umano, inteso in termini di conoscenza e innovazione, ma anche in termini relazionali e di fondamentali variabili, quali la fiducia e la reputazione, che diventano una componente chiave delle relazioni nel clima distrettuale e delle collaborazioni interaziendali in genere.

L’acquisizione di competenze, manageriali da un lato (chi crea la rete) e dei lavoratori dall’altro (chi vive la rete) diventa la condizione necessaria affinchè si possano mettere in campo politiche integrate d’innovazione d’impresa……di successo!.

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