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Export: minaccia o opportunità per le PMI?

L’export sta facendo ripartire l’economia ed ha salvato l’Italia in questi anni di tremenda crisi. Protagoniste di questi successi sono le Piccole e Medie Imprese. Per alcuni osservatori questa affermazione può apparire discutibile, invece è proprio così, come vedremo nelle prossime righe.

L’idea diffusa è che per esportare siano necessari grandi budget e grandi organizzazioni, risorse disponibili solo per le grandi imprese. In questo capitolo invece cercheremo di presentare, in maniera semplice, ma strutturata, i “segreti” delle tante PMI che contribuiscono oggi per quasi il 50% dell’intero export Italiano. Quello che vogliamo dimostrare è che le PMI hanno una maggiore facilità di recupero di efficienza che gli permette di raggiungere risultati, anche inaspettati, con risorse limitate. In sintesi, le PMI che esportano con successo, hanno messo istintivamente a punto un metodo snello, potremmo dire lean, per esportare. Per comprendere l’importanza di questo argomento bisogna, innanzi tutto dimensionarlo ed il report 2014 dell’ISTAT rappresenta una fonte di dati straordinariamente lucida. Nel 2012 in Italia su circa 4,4 milioni di imprese, che impiegavano circa 16,7 milioni di addetti, quelle con meno di 50 addetti erano il 99,4 per cento del totale, con circa 11 milioni di addetti che producono il 51,9 per cento del valore aggiunto totale del Paese. Quindi occuparsi delle PMI non significa concentrarsi su un pezzo del sistema economico italiano, ma, nella sostanza, del sistema nel suo complesso.

Ancora più interessanti sono i dati che riguardano l’export delle PMI. Mentre in paesi come Francia e Germania il peso delle grandi imprese sull’export oscilla tra il 58 e 59%, in Italia questo dato non supera il 46%. Quindi il contributo all’export delle aziende italiane sotto i 250 dipendenti rappresenta la maggioranza dell’export del nostro Paese. Questo porta con se l’esigenza di supportare una galassia di piccole e medie imprese, per consentire loro di basare sull’export la propria costruzione di valore. Una caratteristica delle PMI è però l’individualità, che a volte diventa individualismo, ciò porta ad una limitata capacità di cooperare tra imprese, facendo rete. Su questo voglio essere da subito molto chiaro: per una PMI, il modo migliore per esportare, è farlo in rete.

La rete d’impresa è uno strumento giuridico recente che consente alle imprese di collaborare per uno scopo di business, unendo risorse, senza però perdere di indipendenza giuridica all’interno della propria impresa. La rete d’impresa consente di ottenere vantaggi fiscali ed accedere a specifici incentivi con ulteriori vantaggi per le imprese partecipanti. L’esperienza insegna che, per quanto le reti d’impresa crescano continuamente, il numero assoluto e percentuale di PMI che scelgono questo approccio per sviluppare il business, in generale, e l’export in particolare, sono troppo poche. Questo è da addebitare certamente alla scarsa conoscenza dello strumento reti d’impresa, ma, ancor più, alla già citata individualità forte delle PMI. Questo viene confermato, sempre dal report ISTAT 2014, che ci ricorda come è in aumento la presenza diretta all’estero delle imprese italiane. Anche l’internazionalizzazione produttiva svolge un ruolo di rilievo − sebbene notevolmente complesso − per la capacità competitiva e il potenziale di crescita del nostro sistema economico. Nel periodo 2007-2011, la presenza diretta di imprese italiane all’estero è aumentata di oltre 1.600 unità, fino a raggiungere 21.682 affiliate (+8,1 per cento), che impiegano all’estero circa 1,7 milioni di addetti (oltre 250 mila in più, pari a +19,4 per cento nello stesso periodo). Quindi le aziende italiane tendono ad andare all’estero da sole e direttamente. Infatti anche il ruolo dell’intermediazione commerciale (l’utilizzo di strutture intermedie che si occupano esclusivamente della commercializzazione all’estero) è minore che all’estero. L’intermediazione commerciale, in Italia, contribuisce per il 14% delle esportazioni, mentre in nazioni come Spagna e Regno Unito la quota si aggira intorno al 27 per cento, e supera di poco il 30 in Francia.

In generale, si ritiene che un ampliamento della funzione di intermediazione commerciale potrebbe costituire un importante fattore di stimolo per la competitività del sistema produttivo sui mercati esteri, in particolare su quelli nuovi, più distanti e complessi. La possibilità di beneficiare dell’espansione del commercio mondiale richiede, come si è visto, una capacità crescente di raggiungere mercati lontani, caratterizzati da difficoltà di accesso di varia natura, e di diversificare prodotti e aree di sbocco. La competizione globale, se da un lato ha aumentato le opportunità di crescita delle imprese, dall’altro richiede condizioni aziendali non sempre riscontrabili in imprese di piccola dimensione.

In questo quadro, diventa critico il concetto di efficienza. Infatti il raggiungimento di condizioni di elevata efficienza può consentire, alle piccole imprese, di affrontare con margini più ampi la pressione (sui costi e sulla gestione aziendale) legati all’attività di export. D’altra parte i livelli più elevati di efficienza (“relativa”, che tiene cioè conto delle diversità tecnologiche dei settori) si registrino soprattutto tra le piccole imprese. Ebbene, è proprio in corrispondenza di queste classi dimensionali che sembra più evidente l’importanza di un utilizzo ottimale dei fattori produttivi ai fini delle vendite all’estero. Con riferimento ai soli comparti industriali, le imprese esportatrici risultano ovunque più efficienti di quelle domestiche; la differenza è ampia soprattutto nel settore dei beni di consumo, nel quale il grado di efficienza (mediano) delle imprese esportatrici supera di oltre il 50 per cento quello delle non esportatrici. Come si vede anche dal seguente grafico, sempre pubblicato nel report ISTAT 2014, l’efficienza delle aziende che esportano è sempre superiore a quella delle aziende che non lo fanno. Il livello delle colonne scure e delle relative mediane è sempre superiore alle colonne chiare del grafico.

Efficienza tecnica delle micro e piccole imprese industriali esportatrici e non esportatrici per tipologia di prodotto – Anno 2011 (valori mediani, scostamenti dalla media di settore)

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Possiamo quindi affermare con certezza che le aziende che esportano sono più competitive di quelle che non lo fanno.

In questo capitolo si vuole condividere un modello di azione che possa portare tutte le aziende, che posseggano specifiche di prodotto o servizio realmente competitive, ad avviare una esperienza all’estero.

Caratteristica del modello di azione qui presentato, già validato sul campo in tante aziende con le quali si è collaborato negli anni, è il pragmatismo e la continua attenzione alla semplicità che si traduce in riduzione di budget e risultati proporzionati agli sforzi fatti. Questo è ottenuto grazie alla trasposizione di alcune tecniche, tipiche del lean management, al processo export, con conseguente continua lotta agli sprechi e semplificazione dei processi in una logica di flusso.

… Continua al prossimo articolo.