*di Alessandro Barulli
Il “paradigma di Alessandro” dice che un’impresa deve concentrare le proprie produzioni piuttosto che diversificarle – meglio essere specialisti di qualcosa che essere generalisti di tutto – estendendo la gamma all’infinito nella speranza di incontrare i gusti e le esigenze dei singoli consumatori in ogni singolo Paese nel quale vuole entrare.
Significa altresì che devi mantenere il livello produttivo elevato ai massimi standard qualitativi, come le PMI italiane fanno da più di mezzo secolo e da ultimo – ma di certo non meno importante – significa che tutti gli elementi di valore che risiedono in un prodotto vanno fatti pagare adeguatamente, non svenduti.
Ogni cliente/consumatore acquista in base a quattro categorie di valore:
- valore tecnico-funzionale: quali sono le caratteristiche costruttive, le performance e gli usi del prodotto.
- valore logistico-organizzativo: dove è possibile trovare e acquistare il prodotto, come è organizzata l’assistenza pre e post vendita.
- valore psicologico-emotivo-comunicazionale: cosa rappresenta l’immagine di un prodotto o di un’azienda, che coinvolgimento genera un marchio, cosa trasmette la pubblicità.
- valore economico-finanziario: qual è il prezzo di acquisto di un prodotto, oppure quale valore ulteriore riesco a generare da quel dato investimento.
Si capisce molto bene, vendendo solo facendo leva sul prezzo, che si trascurano tutti gli altri aspetti, i quali finiscono solo per perdere valore!
A proposito di elementi di valore spesso apro una riflessione durante qualche seminario: il Made in Italy è un valore a livello internazionale?
È una domanda importante ai fini dello sviluppo all’estero di un’impresa.
Perché molto spesso gli imprenditori che hanno una sede in Italia pensano che questo requisito li faccia considerare – e con essi loro prodotti – come il non plus ultra gli occhi del mondo.
In realtà il Made in Italy è sinonimo di cultura, creatività, estro, buon gusto, tipicità, design, manifattura e non può applicarsi a tutti i prodotti realizzati in Italia (anche i tubi di plastica utilizzati in impianti di raccolta acque reflue sono prodotti in Italia, ma senza avere alcuna delle caratteristiche tipiche del Made in Italy!).
Piuttosto in alcune particolari circostanze le cipolle di Tropea, i vetri di Murano, la pietra lavica dell’Etna, tanto per fare alcuni esempi, si potrebbe parlare di Made in Calabria, Venezia o Sicilia, tanto per marcare ancor di più l’origine territoriale di determinati prodotti ai quali la definizione “Made in” attribuisce un valore ancora più elevato e come tale costoso.
Parlare di origine territoriale dei prodotti apre fra le altre cose alcune considerazioni di primaria importanza: non è detto che gli articoli che si realizzano per il mercato nazionale vadano bene in tutto e per tutto per i mercati esteri verso i quali ci si vuole indirizzare.
Potrebbe infatti essere necessario procedere ad aggiustamenti e adattamenti nelle caratteristiche, nelle forme e dimensioni, nei colori, nelle etichette e nel packaging.
Pensare di chiedere a Jack, commesso inglese, di convertire i metri in pollici mentre sta mostrando un tavolo in noce realizzato da un artigiano italiano è impensabile! Molto meglio prevedere nel listino la doppia misurazione, secondo il sistema metrico decimale e quello anglosassone.
In alcuni casi le modifiche e gli adattamenti del prodotto sono imposti dalla legge vigente nel Paese straniero, oppure possono essere richiesti in base a specifiche caratteristiche del mercato. Se volessi vendere delle lampade alogene negli Stati Uniti dovrei prevedere una spina diversa, compatibile con le prese americane, ed una tensione della corrente elettrica di 110 volts, invece che 220.
Senza queste attenzioni e modifiche ci si preclude la possibilità di avere una efficace penetrazione commerciale all’estero.
Già da questi aspetti si può capire che le attività internazionali di un’impresa non possono essere improvvisate: devono essere programmate e pianificate per ridurre il margine di errore e di insuccesso.
….Continua al prossimo articolo.
*Alessandro Barulli, consulente e formatore in tema di internazionalizzazione negli ambiti specifici del marketing e della pianificazione strategica, con una esperienza ventennale in aziende di produzione prima di dedicarsi alla libera professione. Svolge la sua attività in Italia e all’estero, collaborando con imprese private, associazioni di categoria ed enti pubblici attraverso la società Interplanning S.a.s., di cui è fondatore e amministratore. Si occupa di strategie di marketing, processi di internazionalizzazione e gestione delle reti di vendita. Le sue lingue di lavoro sono Italiano e Inglese.