change01Il benessere organizzativo è la capacità di un’organizzazione di saper crescere, di svilupparsi, di cambiare promuovendo adeguati livelli di benessere psicofisico delle persone e incrementando l’appartenenza al contesto e la convivenza sociale.

Pertanto, cambiare significa progettare efficaci interventi aziendali finalizzati e pensati in termini di passaggio di stato dell’organizzazione, una transizione da uno stato ad un altro in una unità di tempo precisa. Questa dimensione del cambiamento richiama i livelli di funzionamento sociale di Spaltro[1], in quanto ogni azione di cambiamento prevede il fare i conti con il pensiero dualistico, poiché per passare da una situazione ad un’altra occorre superare periodi di ambivalenza, caratterizzati dal fatto che il vecchio e il nuovo sussistono contemporaneamente e con pari intensità, nel medesimo contesto, generando conflitto. La consapevolezza della dualità tende a bloccare ogni azione innovativa, perpetuando l’ambivalenza. È solo determinando il passaggio dalla dualità alla gruppalità che sarà possibile assistere ad un cambiamento di status che porta innovazione e produttività nell’organizzazione. Il gruppo infatti è lo spazio dove l’individuo costruisce la sua identità, dove sperimenta le limitazioni e le resistenze che lo aiutano a definire il suo spazio di vita. I gruppi essendo entità dinamiche tendono alla ricerca del costante equilibrio che coinvolge le persone non solo con un cambiamento individuale ma coinvolgerà anche consistenti componenti sociali, microsociali e ambientali. In tal senso, il cambiamento si effettua in tre passaggi fondamentali:

a. “disgelo” che consiste nella messa in discussione dell’atteggiamento precedente (situazione presente);

b. “cambiamento” in cui vengono introdotti nuovi comportamenti che dovranno essere adottati;

c. “ricongelamento” che consiste nel consolidamento di un nuovo atteggiamento.

Questi passaggi consentono la socializzazione delle risorse acquisite durante la formazione ai nuovi comportamenti e atteggiamenti organizzativi, garantendo una visione collettiva dei livelli di benessere organizzativo derivati dagli apprendimenti.

Un processo di cambiamento organizzativo prende le mosse da alcune spinte, intese come forze che mettono in tensione l’assetto aziendale e si traducono in fattori motivanti per la trasformazione strategica dell’organizzazione. Esse possono essere interne, esterne, e individuali.

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Le spinte esterne sono comuni a tutte le organizzazioni e possono essere individuate con l’introduzione di nuove tecnologie, con le caratteristiche della forza lavoro, con le pressioni socio-politiche e gli eventi critici che riguardano un determinato periodo storico[2].

Le spinte interne sono invece contestuali e specifiche della singola realtà organizzativa. Sono riconducibili a problematicità legate alla gestione delle risorse umane e alle decisioni e ai comportamenti dei manager.

Le spinte individuali sono ancora più specifiche in quanto sono legate alla persona e al suo percorso lavorativo[3].

Complessivamente agiscono in questo processo altri elementi classificabili nelle resistenze, negli agenti di cambiamento, nei processi di cambiamento e nelle leve di attivazione dei processi. Le resistenze sono identificabili proprio in quelle forme e funzioni organizzative che tendono a permanere nel sistema organizzativo, anche se inefficienti e non funzionali rispetto alle nuove esigenze organizzative. Gli agenti di cambiamento risiedono nella leadership, nei ruoli organizzativi critici, e nelle reti interne all’organizzazione. I processi di cambiamento intervengono a rompere le condizioni di inerzia organizzativa provocata dalle resistenze e dalle forze oppositrici al cambiamento. Essi sono identificabili nel processo di apprendimento, nel processo di sviluppo organizzativo e nella gestione del potere:

  • Il processo di apprendimento consente la messa in atto di soluzioni organizzative funzionali all’apprendimento di nuove esperienze, nonché la predisposizione di una memoria organizzativa che mira a consentire l’accumulo delle conoscenze e del know how aziendale; infine, consiste nella formazione aziendale.
  • Lo sviluppo organizzativo consiste nell’insieme delle azioni pianificate e condotte dai vertici dell’azienda, che coinvolgono l’intera organizzazione ed hanno lo scopo di accrescere l’efficienza dei processi dell’organizzazione stessa, attraverso il riconoscimento e la valorizzazione delle risorse umane.
  • La gestione del potere costituisce la leva principale per poter realizzare azioni di formazione e ridefinizione di legami e di alleanze, sostituzione di attori chiave, e contrattazione con gli stakeholders.

In sintesi, il cambiamento organizzativo richiede alle aziende un atteggiamento proattivo, considerandolo come una occasione di crescita e una opportunità da cui poter trarre vantaggio competitivo.

Nel cambiamento dunque le organizzazioni modificano i propri sistemi e sottosistemi organizzativi per sopravvivere nei contesti che richiedono un cambiamento continuo e un adeguamento costante alle esigenze esterne.

Il cambiamento organizzativo, dunque, coinvolge l’organizzazione a 360° mettendone in risalto le sue caratteristiche e i nodi sostanziali e critici sui quali è necessario agire, attuando dei processi trasformativi.

Il cambiamento è trasformazione di un sistema di azione (…) una operazione che mette in gioco la capacità di gruppi diversi, impegnati in un sistema complesso, a collaborare in modo diverso nella stessa azione (…) una scoperta e una costruzione umana (…)[4].

Le più recenti definizioni nella letteratura psicosociale mettono in evidenza la natura relazionale del cambiamento organizzativo, esso riguarda infatti l’interazione tra le diverse variabili interne all’azienda, come la struttura organizzativa, i processi, il personale, i meccanismi operativi[5].

Se come si diceva all’inizio del paragrafo, il benessere organizzativo è la capacità di una organizzazione di crescere e svilupparsi producendo cambiamento al suo interno, bisogna individuare gli oggetti del cambiamento organizzativo, e dove questi intervengono all’interno dell’organizzazione.

Daft e Noe[6] hanno identificato tre tipologie di cambiamento organizzativo che coinvolgono le aziende:

  • Cambiamento della struttura e delle strategie organizzative: coinvolge in particolare il management ed include cambiamenti nel sistema di ricompense  e di coordinamento.
  • Cambiamento dei processi di lavoro e dell’ambiente lavorativo: è più riferito al modo in cui le persone lavorano. Nello specifico, si tratta di programmi sul benessere e sulla qualità della vita dei lavoratori, e valorizzazione dell’empowerment.
  • Cambiamento culturale: si riferisce ai cambiamenti nei valori, nelle norme e negli atteggiamenti, nelle credenze e nei comportamenti degli attori organizzativi.

In sintesi, il cambiamento organizzativo può riguardare la progettazione organizzativa, la gestione del personale, ma anche la gestione del sistema informativo che consente di connettere i processi, di ridurre i tempi, di distribuire le informazioni e le conoscenze necessarie per rendere l’organizzazione flessibile[7].

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[1] Spaltro E., “Editoriale”, op. cit.

[2] Argentero P., Cortese C.G., Piccardo C. (a cura di), Manuale di Psicologia del Lavoro e del-le Organizzazioni, Vol. II: Psicologia delle Organizzazioni, Raffaello Cortina, Milano, 2009.

Kreitner R., Kinicki A., Comportamento organizzativo. Dalla teoria all’esperienza, Apogeo Editore, Milano, 2008.

[3] Argentero P., Cortese C.G., Piccardo C. (a cura di), Manuale di Psicologia, op. cit.

[4] Crozier M., Friedberg, E., Attore sociale e sistema, Etas Libri, Milano 1978.

[5] Rebora G., Manuale di organizzazione aziendale, Roma, Carocci, 2001.

[6] Daft R., Noe, R., “Organizational behavior”, Fort Worth: Harcourt College Publishers, 2001.

[7] Rebora, G. (2001). Manuale di organizzazione, op. cit.