img 3*di Carlo Bruschi e Giuseppa Patti

La crisi economica attuale sollecita alcune valutazioni sulle condizioni di salute della popolazione e sulla risposta dell’assistenza sanitaria ai bisogni di salute. Le stime provvisorie dell’indagine multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” condotta dall’ISTAT nel 2012-13 e realizzata con il sostegno del Ministero della Salute e delle Regioni forniscono un primo quadro d’insieme su tali aspetti. A partire dagli anni ‘70 e ‘80 si osserva un aumento delle malattie croniche non trasmissibili (MCNT) e una loro ritardata insorgenza, con una progressiva diminuzione dei tassi di mortalità per tumori e per eventi cardiovascolari acuti e con un conseguente aumento della longevità ma anche della prevalenza delle MCNT, soprattutto nella popolazione più anziana. I dati preliminari dell’indagine ISTAT, messi a confronto con i dati della precedente indagine condotta sette anni prima, confermano un aumento delle malattie croniche non trasmissibili (MCNT). Infatti, in Italia la percentuale di residenti con almeno una malattia cronica grave è aumentata di circa un punto e mezzo percentuale: da 13,3 residenti su 100 nel 2005 a 14,8 su 100 nel 2012. Tale crescita è da imputarsi all’effetto combinato dell’aumento della prevalenza di malattie croniche gravi negli uomini ultra-70enni e nelle donne ultra-75enni e al contestuale invecchiamento della popolazione (infatti l’aumento della prevalenza standardizzata per età è più contenuto, passando da 14,6 residenti con almeno una malattia grave su 100 nel 2005 a 14,9 nel 2012). I complessi bisogni sanitari di questi pazienti richiedono il coinvolgimento di un gran numero di operatori sanitari, una grande quantità di risorse e spesso la cura è frammentata, costosa e non riesce a rispondere alle esigenze del paziente. In Europa, 8 persone su 10 di età superiore ai 65 anni, sono affette da MCNT che, se non trattate in modo integrato, determinano scarsa qualità di vita, comportano una spesa sanitaria pro-capite con valori circa quattro volte superiori rispetto a quella dei non cronici (Rapporto Farmafactoring 2011) e annualmente assorbe una percentuale tra il 70 e l’ 80% dei bilanci sanitari. Inoltre il 65% delle persone con più di 65 anni presenta multimorbosità e questo numero sale all’85% per gli ultra 85enni. Appunto la coesistenza di più patologie, spesso senza la possibilità di individuare quella prognosticamente e terapeuticamente più saliente, rende sempre meno efficace l’agire medico incentrato su un approccio riduzionistico (malattia®terapia®guarigione), l’adozione dell’approccio di sistema permette di superare tale ostacolo attraverso l’utilizzo di diverse dimensioni biologica, psicologica, sociale: è questo l’approccio multidimensionale.

Nuovi strumenti di gestione

Per fare fronte all’avanzare di patologie di così complessa gestione sono stati elaborati nuovi paradigmi che mettendo insieme competenze di diversi saperi – assistenza multidimensionale e multiprofessionale, globalità dei bisogni, gestione proattiva – impongono di ripensare l’organizzazione dei servizi (WHO 2005, WHO 2008) progettata intorno ai bisogni del Paziente. Come evidenziato dal gruppo di lavoro coordinato dall’ISS e dall’Agenzia regionale delle Marche, con un finanziamento del ministero della Salute – progetto “Formazione per i referenti e i formatori della qualità nelle aziende sanitarie” – vi è un ampio accordo sulla opportunità di adottare approcci più ampi, sistemici, capaci di interessare contemporaneamente più prestazioni e più dimensioni qualitative. In questa diversa modalità di affrontare il problema di salute, si pone una nuova centralità finalmente riconosciuta al paziente. Ci si obbliga così a prendere in considerazione nuove dimensioni della malattia: quella vissuta (illness) quella organica (disease) e quella sociale (sikness), salute possibile e non solo salute, mantenimento e non solo guarigione, accompagnamento e non solo cura, risorse del paziente e non solo risorse tecnico-professionali, tutti aspetti che ritroviamo nella costruzione del PDTA (ADA 2010, AMD-SID 2010)[1].

Dalla metà degli anni ’90 diversi gruppi di ricercatori hanno ridefinito l’approccio alle malattie croniche spostando i modelli di cura da un approccio reattivo, basato sul paradigma “dell’attesa” dell’evento acuto, ad un approccio “proattivo”, improntato al paradigma preventivo, mirato ad evitare o rinviare nel tempo la progressione della malattia; a promuovere l’empowerment del paziente (e della comunità ) e la qualificazione del team assistenziale (sanitario e sociale). Di seguito i modelli di “governo clinico” individuati per tali obiettivi.

Disease Management (DM): può essere considerato un movimento che si propone di rendere omogenea, coordinata e comprensiva l’assistenza rivolta ad una problema di salute. È un approccio sistemico e integrato che implica un’azione coordinata tra tutte le componenti e tra tutti gli attori del sistema assistenziale, che, seppur con responsabilità diverse, sono chiamati a sviluppare interventi mirati verso comuni obiettivi. La validità degli interventi di disease management è stata dimostrata in termini di efficacia, di riduzione dei costi, di minore ospedalizzazione e di miglioramento della qualità e dell’appropriatezza dell’assistenza. Alla base della gestione si pone un’attenta analisi dei dati clinici ed economici.

Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA): è lo strumento di traduzione organizzativa ed operativa del Disease Management. La prospettiva utilizzata è quella del paziente/utente che viene seguito come un “tracciante” per analizzare e migliorare le performance organizzative e cliniche dei servizi[2]. Svolgere una corretta analisi del processo assistenziale permette di individuare gli snodi critici, di identificare le eventuali malpractice[3] che stanno alla base delle criticità rilevate, e di intraprendere azioni mirate di miglioramento. Il PDTA si pone quindi come il metodo migliore sia per dare evidenza a tutti i prodotti dell’assistenza, sia clinici, sia non clinici, sia per analizzare i processi assistenziali e per rendere misurabili, attraverso specifici indicatori, i risultati generati. Il PDTA è inoltre coerente con la proposizione di Berwick secondo cui le politiche sanitarie odierne dovrebbero essere orientate da un triplice obiettivo:

  1. migliorare l’esperienza individuale di cura (orientamento alla persona);
  2. migliorare la salute della popolazione (outcome);
  3. ridurre i costi pro capite delle cure[4].

Si recupera così il principio della stretta correlazione tra processi economici tipici di una azienda e la tutela della salute. Infatti, l’approccio per PDTA non si limita alla ricostruzione di appropriate sequenze di atti, operazioni e trattamenti rivolti a pazienti cronici, ma consiste nel collegare a essi i consumi (farmaci, accertamenti, visite) e i relativi costi. Il PDTA svolge inoltre la funzione di individuare e standardizzare i processi che favoriscono l’integrazione e il coordinamento tra operatori del sistema sanitario dislocati anche in punti tra loro distanti (per esempio l’ospedale, il territorio etc.), riducono la variabilità clinica, nonché permettono la valutazione delle prestazioni erogate in termini di indicatori. Nella definizione dei diversi PDTA un elemento ricorrente riguarda la centralità della figura del paziente nella costruzione del percorso. All’interno del PDTA il valore economico è stato standardizzato rispetto ad alcuni criteri di valorizzazione, ad esempio, l’utilizzo delle tariffe nazionali e il mix di prestazioni associate a ciascun PDTA è dato dal valore mediano di consumi assorbito da una specifica coorte di malati. Questa scelta è motivata dal fatto che tale informazione rileva la performance di consumo più diffusa tra la popolazione osservata, rappresentando, quindi, uno standard implicito praticato. Il PDTA definisce la migliore successione possibile delle attività di cura e assistenza che devono essere svolte per i pazienti che presentano quella particolare malattia, tenendo conto delle competenze, conoscenze e risorse a disposizione. Il percorso è formalizzato in un testo scritto, alla cui stesura partecipano tutti gli attori coinvolti nel percorso di un particolare gruppo di pazienti, ad esempio medici di medicina generale (MMG), infermieri, radiologi, chirurghi, i quali definiscono, nero su bianco, gli obiettivi comuni, i ruoli, i tempi e gli incarichi di ciascun operatore. La stesura dei PDTA presenta un duplice vantaggio: da un lato illustra con chiarezza i compiti che devono essere svolti dal personale, con l’obiettivo di standardizzare e uniformare il servizio erogato, dall’altro permette ai pazienti di conoscere quali attività (visite mediche, esami clinici, etc.) dovranno eseguire, a quali operatori fare affidamento, senza dimenticare l’importanza di disporre di una valorizzazione il più possibile completa.

In tema di gestione dei pazienti cronici e precisamente in merito alla prevenzione terziaria l’unico PDTA formalizzato e implementato al 100% è relativo al Diabete di tipo 2 per i pazienti non insulino dipendenti e non complicati. Ciò non deve sorprendere, dal momento che l’OMS ha inserito il diabete tra le patologie su cui maggiormente investire, dato che è destinato a diventare la causa maggiore di disabilità e di mortalità nei prossimi venti anni[5]. Sono stati poi attivati, in diverse regioni, PDTA per altre MCNT: broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), tumore polmonare, ictus, scompenso cardiaco, malattie reumatiche infiammatorie e auto-immuni, malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI), malattia di Crohn e colite ulcerosa. La regione Sicilia ha progettato e attivato almeno due PDTA con le Associazioni di cittadini e di pazienti -Sclerosi Multipla e MICI – e altri stanno per essere consegnati alla cittadinanza per migliorarne la qualità di vita e l’assistenza.

Secondo i sostenitori della metodologia Lean, il PDTA mostra delle importanti criticità consistenti nella mancanza di implementazione dei concetti di valore per il paziente, individuazione degli sprechi, flusso, miglioramento e controllo continuo; concetti che sono invece tra i principi cardine della metodologia Lean. Inoltre, viene rilevato come nella stesura dei primi PDTA ci fosse la tendenza a fare relazioni separate e trasmetterle come elaborato comune, piuttosto che parlarsi e snellire ciascuno le proprie procedure in funzione di un migliore risultato del gruppo (l’organizzazione)[6]. Le Associazioni di cittadini e di pazienti lamentano una scarsa diffusione dei PDTA sul territorio nazionale e una insufficiente informazione quando presenti.

[1] Noto G., Raschetti R., Maggini M., Gestione integrata e percorsi assistenziali. Progetto IGEA, Il Pensiero Scientifico Editore, 2011.

[2] Noto G., Raschetti R., Maggini M., op. cit.

[3] Guizzardi M., Noto G., Linee Guida sulla riorganizzazione dell’attività territoriale (PTA – Cure Primarie _ Gestione Integrata – Day Service territoriale) di cui all’art.12 c.8 della L.R. 5/2009 di riordino del SSR. Assessorato della Salute. Regione Siciliana, Marzo, 2010.

[4] Moranda V., Longo F., PDTA per la cronicità e prospettive di sviluppo: un quadro di sintesi, da: PDTA standard per le patologie croniche. 11 ASL a confronto nella gestione della rete dei servizi per BPCO, tumore polmonare, ictus, scompenso cardiaco e artrite reumatoide, EGEA, 2014.

[5] Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano. Piano Nazionale della Prevenzione 2014 – 2018.

[6] Dossier gestione sala operatoria- Management della Sanità. Nicosia. 09/2008, p. 34.

Bibliografia

Biancardi C., Bracci L., Burroni L. e Guercini J., Lean Thinking in sanità: da scelta strategica a modello operativo, Società Editrice Esculapio, Bologna, 2014.

Raimondo C., Innovazioni gestionali nelle imprese sanitarie. Modelli ed esperienze di Lean Management, youcanprint, Roma,2013.

foto carlo*Carlo Bruschi

Dopo una breve esperienza in una società di consulenza in selezione del personale entra nel mondo aziendale sviluppando oltre quindici anni di esperienza, di cui la metà come Dirigente all’interno della Direzione Risorse Umane e Organizzazione in primarie società quali Fiat e Finmeccanica, in ruoli di sempre maggiore responsabilità fino a ricoprire posizioni apicali. In Fiat partecipa alla progettazione del primo modello delle competenze sviluppato in Italia basato sulle Famiglie Professionali e ne segue poi l’applicazione concreta. Si occupa della reingegnerizzazione dei processi fondamentali come diffusore interno della Metodologia Lean ispirata al Kaizen ed al Total Quality e 6 Sigma. Passato in Finmeccanica Oto Melara è regista di un progetto di Change Management articolato e complesso che investe tutti i versanti aziendali, comprendente azioni c.d. ‘’hard’’, quali mobilità e successivo ingresso di 150 giovani in due anni, ridisegno organizzativo per favorire il lavoro per processi, e azioni c.d. ‘’soft’’ per elevare la managerialità dei vari livelli aziendali caratterizzati da elevato know how tecnico. Collaborando con la società Hay opera un ripensamento completo della politica retributiva nel suo complesso toccando tutti i livelli aziendali. Sempre in Finmeccanica passa poi in Selenia Communications, (oggi Selex ) come Compensation & Organisation Manager WW, dove partecipa ad un ridisegno completo dell’organizzazione aziendale (c.d. Future State Vision), andando a ridefinire i perimetri di Business delle nuove Direzioni e dei ruoli sottostanti, oltre a curare un’armonizzazione dei diversi trattamenti retributivi presenti in Azienda. Sia nella prima esperienza (FIAT) che nella successiva (Selex) ha avuto modo di lavorare all’estero per seguire attività quali implementazione del piano di Management Review in Francia e Polonia, ed implementazione delle policy retributive in UK, Turchia e Germania. Arriva in Sicilia nel 2006 come Direttore del Personale per tutta la Sicilia del gruppo Almaviva, oltre 5000 dipendenti distribuiti in tre siti produttivi. Da tre anni opera come consulente di Direzione con Focus particolare sulle tematiche di organizzazione, controllo dei costi legato alle attività e progetti di efficientamento delle strutture e dei processi.

foto giuseppina patti*Giuseppina Patti

Siciliana, medico specialista in psicoterapia e nutrizione clinica. Con la madre e il fratello gestisce la casa di cura accreditata con il SSR fondata dal padre nel 1951. Appassionata di tematiche organizzative e in particolare di Lean applicato in sanità, è alla continua ricerca di uno stile gestionale che sappia conciliare il rispetto per la sacralità del paziente con la gestione delle risorse economiche e la valorizzazione di tutto il personale coinvolto nell’attività sanitaria. La casa di cura da lei gestita è tra le prime strutture ad adottare una metodologia di controllo dei costi improntata ai processi di ricovero del paziente ed alla loro semplificazione e non al taglio dei costi.